Si tratta di opere iconiche, frutto dell’estro e della genialità dell’architetto veneziano: due gioielli preziosi dell’architettura italiana.
Il memoriale Brion fu realizzato tra il 1969 e il 1978, anno della morte di Carlo Scarpa. Fu commissionato da Onorina Brion, rimasta prematuramente vedova del marito Giuseppe. La famiglia Brion, originaria di Altivole, era proprietaria del marchio Brionvega, divenuto famoso negli anni Sessanta e Settanta del Novecento per i televisori, i giradischi e le radio, apprezzati per il design raffinato ed esclusivo, tanto da essere tutt’oggi conservati nei più importanti musei del mondo (come il MoMA di New York). La famiglia Brion ha conservato il memoriale fino allo scorso anno, curandone un lungo e meticoloso restauro, prima di donarlo al FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, che ora lo ha in proprietà e cura le visite del pubblico. In quest’opera il protagonista è il cemento armato, curato nei minimi dettagli come solo Carlo Scarpa sapeva fare, con un’attenzione millimetrica per ogni particolare, dall’uso delle casserature in legno, che dovevano essere grezze per lasciare l’impronta decisa sul cemento, alle “scalettature” per creare movimenti delle forme, agli inserti di piastre musive in vetro. Il cemento è in dialogo stretto e armonioso con il verde del prato, delimitato da un lato dalla vasca delle ninfee e dei fiori di loto, con forme che richiamano i giardini giapponesi, tanto amati dall’architetto. I sarcofagi di Onorina e Giuseppe Brion, realizzati in marmo e in legno di palissandro, dalle forme inclinate ma perfettamente simmetriche, sono ubicati sotto una volta di cemento, il cui intradosso è decorato con un mosaico che suggerisce l’impressione di un cielo azzurro. Il padiglione che sembra galleggiare nella vasca delle ninfee è pensato per la meditazione, con due panche dove ci si può sedere e ammirare le tombe, perché la struttura di copertura crea delle quinte che non consentono una visuale spaziosa, se non da seduti. Completano il complesso una struttura per le tumulazioni di altri membri della famiglia, e la cappella, alla quale si può accedere da un ingresso indipendente, esterno alla cinta cimiteriale. La cappella, anch’essa ricca di particolari, è illuminata da una serie di finestre verticali e un lucernario posto sopra l’altare, che le conferiscono un’atmosfera mistica e raccolta. Intorno alla cappella continua il giardino, dove l’acqua ha ancora un ruolo fondamentale, fondendosi con le pedane di cemento e gli spazi erbosi. In un angolo del cimitero, attiguo allo spazio del memoriale Brion, riposa Carlo Scarpa, sotto una lapide disegnata dal figlio Tobia, che riporta semplicemente le date della nascita e della morte dell’artista architetto. L’ottima guida del FAI ci ha illustrato con grande passione l’opera e il rapporto intenso che Carlo Scarpa ha vissuto durante la lunga lavorazione del cantiere.
Terminata la visita del memoriale, ci siamo recati a Possagno, a pochi chilometri da Altivole, per visitare un altro dei capolavori di Carlo Scarpa: la Gypsoteca Canoviana. Qui siamo stati accolti dalla guida che ci ha parlato di Antonio Canova, nato in questa casa nel 1757, che divenne uno degli indiscussi protagonisti che segnarono la storia dell’arte italiana, e non solo, tra Settecento e Ottocento. La guida dapprima ci ha illustrato le modalità di esecuzione delle sculture: il modello in creta, il calco in gesso, il modello in gesso prima di arrivare alla statua in marmo: procedimenti lunghi e delicati, nei quali Canova era diventato maestro. Poi si accede nella basilica ampliata dall’ala Scarpa, dove ammiriamo i gessi di capolavori indiscussi come la statua di Napoleone (che non fu apprezzata in quanto lo rappresenta nudo, condizione considerata poco rispettosa) e poi Paolina Borghese, Teseo e il minotauro, la bellissima statua di Dedalo e Icaro, Adone, la straordinaria Maddalena penitente, le Grazie ... non è comune vedere raccolti in un unico luogo tanti capolavori e tanta bellezza. Dell’ala Carlo Scarpa ammiriamo i dettagli, il sapiente uso della luce, che arriva attraverso grandi finestre, e gioca sui toni del bianco dei gessi e dell’avorio delle pareti, conferendo agli ambienti un senso luminoso ed elegante. Tutto è studiato nei minimi particolari, tutto è pensato per valorizzare le opere esposte: un luogo straordinario, unico: un’esperienza emozionante.
La mattinata si è conclusa con il pranzo in una locanda tradizionale.